Prorogata la mostra su Amleto Emery nella Psichiatria di Cittiglio
Prorogata la mostra su Amleto Emery nella Psichiatria di Cittiglio
08 January 2019
Comunicato stampa
inCircolo
Visto il successo di pubblico, la mostra "Il Linguaggio dell'Anima" di Amleto Emery, allestita nel reparto di Psichiatria dell'Ospedale di Cittiglio (piano terra, ala nuova), sarà prorogata almeno fino al 28 febbraio.
Si tratta di 60 opere che seguono l'evoluzione artistica del pittore, dalla fase figurativa a quella geometrica fino all'approdo all'astrattismo, dove a dominare sono le emozioni pure impresse sui fogli.
Orari di accesso al pubblico:
Feriali: 12.30-13.00 e 15.30-19.30
Festivi: 10.30-11.30 e 15.30-19.30
Amleto Emery nasce a Monza nel 1923. Dal 1947 al 1953 studia pittura e decorazione presso l'Istituto “Paolo Borsa” alla Villa Reale di Monza. Partecipa alle Mostre Nazionali Città di Monza 1951 e 1953 ed un suo dipinto viene acquisito dalle Collezioni Civiche. Nel 1959 è a Milano, città dove vive e lavora fino al 1963, quando con la sua famiglia si trsferisce a Vigevano. Dal 1963 svolge la sua attività d'artista a Gallarate, inizialmente introdotto nell'ambiente artistico ed espositivo dall'architetto Serio e dalla sua galleria, “L'Arnetta”. Nel 1968 dopo un decennio di inattività dovuta ad una lunga malattia, riprende a dipingere e ad esporre. Poi, con gli anni '90, muta il linguaggio pittorico che egli definisce “Il linguaggio dell'anima”. Inizia così una nuova stagione di grandi e fecondi fermenti. Sue opere sono collocate presso importanti musei e collezioni pubbliche e private, in Italia ed all'estero (Parigi, Olanda, Chicago, Johannesburg, Svizzera). Scompare a Gallarate agli inizi del 2001. Dopo la morte, le sue opere sono state più volte esposte in mostre postume. Agli inizi del 2014 è sorta, su iniziativa di un gruppo di amici e collezionisti, l'Associazione Amici Emery con lo scopo di rivalutare criticamente la sua arte tramite promozioni di mostre, donazioni a musei ed enti pubblici, arrivando poi alla stampa di un catalogo generale dell'opera.
“Caro Amleto, - scrive Ettore Ceriani, giornalista e critico d'arte - quante sofferenze hanno accompagnato la tua pittura, che spesso appare come un lancinante grido di dolore! Proprio per questo la sua pittura diventa un intenso diario di vita, di ribellione al destino. La drammaticità dei suoi lavori è segnata dalla cocciutaggine con cui rifiuta un destino avverso; i colori puri sono un canto alla vita di chi sa che ha pochi giorni davanti. E poi qualcuno continua a chiedersi perché gli amici veri lo hanno stimato così tanto! Il nostro tempo è segnato dalla superficialità. Tra i diversi cicli che Emery ha affrontato, uno, il principale, è arrivato a conclusione. E’ quello sulla città, una tematica che il pittore gallaratese ha sentito, indagato ed interpretato meglio di altri. Tant’è che a fine anni ’60, quando il tema dell’esistenzialismo si afferma, un mercante come Bergamini gli propone una collaborazione con la sua galleria. Purtroppo, anche in questo caso il destino è beffardo con Emery poiché l'artista comincia ad ammalarsi dopo qualche mese.
Il ciclo sull’ambiente urbano, è piuttosto articolato. Inizia con una serie di vedute dei casolari e dei capanni attorno a Monza. La figurazione è semplice, con accenni geometrici ed intonazione intimistica. Negli anni ’60, la sua pittura diventa materica, ma nei soggetti ancora sostanzialmente figurativi le masse tendono a sgretolarsi sotto l’incedere della luce, come a voler preconizzare i disastri di una urbanizzazione selvaggia che fa violenza al genere umano. Dopo la malattia, ad una serie di delicatissimi pastelli d’intonazione naturalistica fanno seguito i dipinti intitolati ‘Spazio luce’ in cui il pittore sembra proiettare liricamente in un tempo infinito le istanze dell’umanità che, percepite dalla natura, si trasformano in variegate espressioni di fenomeni atmosferici. Seguono altri soggetti visionari, frutti di una gestualità spontanea e di una genuina limpidezza compositiva: muri, voli, scorci di natura. Lo sguardo ritorna poi alla concretezza dell’architettura moderna, dove prendendo spunto dalle costruzioni che hanno immense facciate di vetro riflettente, l’artista vede nelle stesse una specie di muro dell’incomunicabilità fra ambienti che pure appartengono alla stessa realtà. Nascono allora le città utopiche, piccoli lavori in cui compunte strutture geometriche interpretano il freddo raziocinio di buona parte dell’architettura moderna. Il raffinato accostamento coloristico e la preziosità della materia riflettono però un latente desiderio di trovare rispondenze nell’utopia. Questi sono i lavori meno conosciuti, se non ai suoi amici più intimi, di un cammino che spesso ha cercato e trovato colori e poesia nei sentori più profondi dell'interiorità”.